giovedì 30 agosto 2012

AGOSTO 2012 PARTE 2

La crisi della pubblicità italiana? Tutta colpa dei pubblicitari italiani.
 
 
 
 
(pubblicato su Terra di agosto 2012)



Le agenzie di pubblicità globali che gestiscono in Italia la quasi totalità del mercato della pubblicità, sia dal punto di vista dei messaggi che degli spazi pubblicitari vanno male, anzi: malissimo. Oltre tutto, i fatturati delle multinazionali vengono ovviamente consolidati nei paesi in cui hanno sede i rispettivi quartier generali, e vanno a beneficio dei loro azionisti.


Vista poi, la crisi verticale della stampa italiana, della radio italiana, nonché della tv italiana, sia pubblica che privata, neppure dal punto di vista dei fatturati derivanti dalla raccolta pubblicitaria si può parlare di pubblicità made in Italy. Gli investimenti su Sky, per esempio, vanno al monopolista australiano del satellite, mentre gli investimenti sul web vanno a vantaggio di player come Google o Facebook.

Mentre AssoComunicazione, l’associazione che rappresentata le agenzie di pubblicità, non riesce a tenere quest’anno il suo rituale convegno e lo rinvia a data da destinarsi, il convegno che Upa (l’associazione degli industriali che investono in pubblicità) ha tenuto a Milano nei giorni scorsi è stato una delusione.

Una lamentela qui sul ritardo degli investimenti sulla banda larga; una contumelia lì su i diritti di negoziazione; un ammiccamento colà sulla funzione del servizio pubblico radiotelevisivo, ma niente di più. E di più significava tracciare una corsia preferenziale per le aziende italiane, per fare in modo che la pubblicità nel suo complesso possa essere un nuovo starter per la ripresa.
In effetti, la situazione richiederebbe un salto di qualità degli utenti italiani di pubblicità, delle agenzie, delle concessionarie, degli editori: per governare codesta crisi bisognerebbe guidare il cambiamento, non soltanto subirlo o, peggio, ricamarci intorno. Manca concretezza, e quando manca concretezza si fatica a leggere con chiarezza i segnali, i messaggi, le tendenze che si stanno muovendo.

Eppure, negli ultimi anni sono nate in Italia alcune agenzie indipendenti, spesso con eccellenti capacità non solo creative ma anche organizzative. Ma finché le aziende italiane non la smetteranno di “accodarsi” ai budget gestiti dalle multinazionali della pubblicità e non riprenderanno in mano il loro destino, le loro esigenze verranno sempre dopo i mega-budget globali.
Se la crisi è una grande occasione per sperimentare nuovi percorsi verso l’eccellenza, sta alle aziende italiane non sottovalutare le capacità delle agenzie di pubblicità italiane di nuova generazione, indipendenti dalle holding, quindi più agili, meno burocratiche, più vicine ai committenti. Potrebbe succedere che il made in Italy abbia finalmente creatività pubblicitaria gestita da agenzie made in Italy.



E questo non parrebbe davvero essere semplicemente un trend italiano. La campagna “Back to the start” di Chipotle che ha vinto il Grand Prix è la storia dell’azienda inglese che smette di produrre alimenti in modo industriale per tornare a una produzione di qualità, nel rispetto dell’ambiente, nel solco dello sviluppo compatibile.
A guardarla bene, questa dolce e soave campagna vincitrice del Grand Prix sembrerebbe una fantastica allegoria del ritorno al modo concreto, genuino, passionale, artigianale di fare pubblicità: fuori dai reticolati delle holding, dalle strettoie dei network internazionali c’è vita, passione, visione, capacità.
 
Che è tutto quello che serve alla rinascita della creatività pubblicitaria italiana.
 
 
 
fonte: http://consorziocreativi.com/blog/2012/08/24/la-crisi-della-pubblicita-italiana-tutta-colpa-dei-pubblicitari-italiani/

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