martedì 7 agosto 2012

BOOM DEGLI ANNI 80



Il 1 gennaio 1977 la Rai chiuse per sempre Carosello; un mese dopo iniziarono le prime trasmissioni a colori. Questo fu un evento epocale, di rottura simbolica rispetto agli anni precedenti, dove il bianco e nero rappresentava bene il clima sociale di austerità economica e culturale degli anni ’70; il colore rappresentò l’avvento del benessere del consumo, e preparò la strada alla nascita delle TV commerciali. All’inizio degli anni ’80 nasce, con il consorzio Canale 5, l’impero Fininvest, che basava i suoi introiti non su un canone, come la TV di stato, ma solo sulla pubblicità. 



Lo sviluppo del sistema televisivo italiano determinò una immediata crescita degli investimenti in pubblicità; inoltre, mentre negli anni del monopolio RAI la pubblicità era confinata in appositi spazi, ora si impone attraverso l’interruzione dei programmi. Una parte consistente degli investimenti in pubblicità consisteva però nelle telepromozioni, che in quegli anni si affermarono.
La pubblicità assume caratteri altamente spettacolari: sono un esempio gli spot di Séguéla; perfino Fellini, che si era dichiarato molte volte contrario alla pubblicità, realizzò spot per Campari, Barilla e Banca di Roma.



Negli anni ’80 nascono delle saghe pubblicitarie che ebbero molto successo: quella del whisky Glen Grant che dà vita al personaggio di Michele “l’intenditore”, quella del caffè Lavazza o quella dell’Amaro Ramazzotti che lanciò lo slogan Milano da bere; particolarmente significativa poi la saga della Barilla, con gli spot che attraversano tutto il decennio del Treno, del Gattino ecc.



Negli spot poi il corpo diventa, per entrambi i sessi, un protagonista centrale del mondo pubblicitario, con modelli e modelle sexy, nudi/e o quasi; un altro tema frequente è quello del rimpianto nostalgico per la natura: più si viveva nella società industrializzata, beneficiando dei suoi vantaggi, più si mitizzava uno stato di natura in realtà mai esistito. L’esempio più calzante in questo senso è l’esplosione di consensi per gli spot e per la marca Mulino Bianco.

Anni 90

Durante gli anni ’90 aumenta sempre più il numero dei canali televisivi (nascono i primi canali tematici e personalizzati), dando ancora più scelta al consumatore. Nello stesso tempo la marca industriale va incontro a una crisi, determinata dal minor reddito dei consumatori, e dalla nascita degli hard discount, dove è il prezzo che guida i consumatori; a questi si affiancano i neonati centri commerciali, dove le aziende di distribuzione possono proporre e rinforzare le loro marche.




Nel giro di poco tempo, però, le marche industriali recuperano il terreno perduto; marche come Nike, Adidas, Coca-Cola, Calvin Klein si affermano nella mente dei consumatori.



 La pubblicità made in Italy risente ancora molto dell’influenza di Carosello, recuperando a volte molti suoi personaggi (Calimero, l’uomo dell’olio Cuore) e il linguaggio tipico degli spot caroselliani (come per la saga Telecom, con la lunga telefonata di Massimo Lopez, o quella di Parmacotto con Christian de Sica).




 Tutte le grandi marche cercano di uscire dall’ambito strettamente pubblicitario, sperimentando nuovi canali e nuove forme di comunicazione.
La pubblicità dell’epoca ipermoderna
La crescita dei messaggi in circolazione determina una saturazione dei canali disponibili, e la pubblicità di trasforma in una sorta di rumore indifferenziato dal quale per la singola azienda è difficile emergere. Una soluzione è lo sviluppo della metapubblicità, comunicazione autoreferenziale che tende ad avere come oggetto sempre meno il prodotto da pubblicizzare, e sempre più sé stessa, i suoi meccanismi e i suoi discorsi; si mette a nudo al consumatore, mettendosi dalla sua parte. A questo si aggiunge il connessionismo, una crescente interrelazione con gli altri media.

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