mercoledì 19 settembre 2012

L'ARTE DEL VINO

Non sono un esperto di vini. Non ne ho le competenze.
Il mestiere di  sommelier non mi ha mai ispirato.
Far decantare il vino non è la mia attitudine,lascio ad altri il compito.
Decantare il vino significa travasarlo in un altro contenitore di vetro, in una specie di caraffa chiamata decanter.
I motivi per cui si decanta il vino sono due: ossigenare il vino, in modo che possa liberare tutti i suoi profumi e migliorare le caratteristiche organolettiche; separare il vino da eventuali depositi presenti nella bottiglia, che si possono formare nei vini rossi da lungo invecchiamento.
Da qualche anno ho scoperto,quasi per caso,un vino particolare. Ero a cena con amici. Si chiama Buio ed è prodotto in Sardegna.



Provo a darne una breve descrizione: un vino dal colore rubino intenso,tendente al granato,dal gusto morbido e avvolgente. Caldo, e balsamico.
Al naso si sprigionano profumi vinosi, intensi e ricchi, nonchè note di frutti a bacca rossa, come le ciliegie.


Le bottiglie sono scure, che richiamano l’austerità e la dignità delle donne che in Sardegna hanno sempre tramandato i valori più sinceri dell’isola. L’etichetta è una rivisitazione dei tappeti sardi.

Rientra nella denominazione Carignano del Sulcis DOC.

Un vino da accompagnare ovviamente con le  specialità sarde.

Viene prodotto nella cantina Mesa, Sant'Anna Arresi.

E mi fermo qua.


Facciamo un salto  indietro nel tempo.



Anni '80. L'agenzia
Young & Rubicam  affida ad  un signore la campagna pubblicitaria di una delle più importanti aziende produttrici di pasta, nonché uno dei principali clienti di Y&R Italia: Barilla
Le campagne realizzate da questo signore erano da un lato un'involuzione del linguaggio pubblicitario (abolì il tradizionale format di 30 secondi a favore di filmati lunghi di solito un paio di minuti che riportava gli spot pubblicitari al modello "Carosello"). Dall'altro rappresentavano un'evoluzione rispetto a questo modello, perché mettevano in scena brevi storie ricche di emozioni e buoni sentimenti, allontanandosi in questo modo dal predominio di sketch, ancora una volta sul modello "Carosello", che erano la forma più tipica di pubblicità televisiva.
Rimane mitico lo spot della bambina che esce da scuola, perde l'autobus che l'avrebbe portata a casa, e si incammina da sola e sotto la pioggia torrenziale verso casa. Incontra per strada un gattino fradicio e infreddolito e lo prende con sé. Finalmente arriva a casa dove i genitori, in apprensione per il suo ritardo, accolgono lei e il micio a braccia aperte. Dettaglio marginale: in pentola sta bollendo l'acqua con la pasta Barilla, che ha aspettato anche lei la bimba. Barilla non scuoce.


Questa e le altre storie che Barilla ha raccontato a cavallo degli anni '90 hanno avuto molto successo nel nostro paese e sono state testimoni di una strategia pubblicitaria e di marketing che aveva come primo scopo quello di differenziarsi dal linguaggio sino allora impiegato dalle aziende concorrenti per promuovere il consumo di pasta. Per vendere gli spaghetti usavano emozioni di largo consumo e a bassissimo costo (economico e cognitivo).


Dagli anni '80 la pubblicità della pasta Barilla non si è mai mossa più di tanto da questa impostazione. La famiglia, i bambini, la nostalgia della casa lontana: sapere che mangiando quel piatto di pasta si è un po' come a casa propria, in qualsiasi posto del mondo ci si trovi. In sottofondo sempre la musica di Vangelis, semplice e molto orecchiabile.
In questo modo, il velo sollevato dalla pubblicità sugli affetti privati delle persone rappresentate produce nello spettatore il riconoscimento di un'esperienza emozionale al tempo stesso personale e universale.


            Lo slogan,unico e indelebile, è questo:




                          Semplicemente geniale
 


Ma torniamo a questo signore



Ha ideato alcune tra le campagne pubblicitarie rimaste nella memoria collettiva italiana: quella per i Baci Perugina, Fiat, De Cecco, Tuborg, Simmenthal, Ariston, Giovanni Rana.

Un lavoro creativo che lo porta a vincere più premi di tutte le agenzie pubblicitarie italiane messe insieme: sette Clio, l'Oscar mondiale della pubblicità; sette Leoni al Festival Internazionale di Cannes; l'unico Telegatto vinto da un pubblicitario italiano; quattro Golden Pencil dell'Art Directors Club Italiano; due riconoscimenti da parte dell'International Film Festival di New York, solo per citarne alcuni.


Allievo di Andy Warhol alla New York University.

In qualità di spin doctor ha curato le campagne vincenti di Richard Nixon nel 1972,Renato Soru nel 2004 (sua l'idea dello slogan Meglio Soru),Ugo Cappellacci nel 2009 (con lo slogan Sardegna torna a sorridere), Venne contattato pure da Silvio Berlusconi in vista delle elezioni del 2006.

Agli inizi del 2000 sceglie di cambiare e lo fa in grande stile.
Decide di  dedicarsi alla produzione di vini. 
La sua azienda vinicola, la Mesa, nasce a Sant'Anna Arresi.


Questo signore è uno  dei  pubblicitari italiani più famosi.

Il creativo sardo più noto al mondo.





 Per riuscire a fare ciò che ho fatto mi sono preoccupato di capire le persone, di rispettarle e soprattutto di non bluffare mai


Oggi ama definirsi «pensionato e vignaiolo»


   Questo signore è Gavino Sanna




           Questo post è dedicato a lui.
 

martedì 18 settembre 2012

LEO BURNETT



Tra i grandi nomi della rivoluzione creativa degli anni ’50, Leo Burnett è stato senza dubbio l’uomo delle immagini. Se Bill Bernbach ha coniato i simboli-mito di una nuova smart generation – se l’elegante razionalismo di David Ogilvy ha integrato l’efficienza delle statistiche con le frecce della creatività – Leo Burnett è stato invece il pubblicitario che ha creato alcune delle maggiori icone visive dell’immaginario commerciale moderno.

L’ufficio di Singapore dell’agenzia Leo Burnett
 
 
 Piuttosto che affascinare il pubblico con eleganti giochi d’intelligenza o sofisticate suggestioni, Leo Burnett preferiva far leva su grandi sentimenti popolari.
Idee semplici, larghe e condivise
a cui lui stesso – in quanto fiero rappresentante dell’America più centrale e profonda – si sentiva legato. 
E’ con questo spirito che nascono figure leggendarie come quella di “Charlie the Tuna” o l’arcinoto (e ormai più che 50enne, a conti fatti) “Tony the Tiger” della Kellogg’s.
 
 Poi nel 1954 arriva Philip Morris.
Il giorno in cui il gigante del tabacco bussa alla porta di Burnett, Marlboro gode ancora della quota di mercato più piccola della sua categoria. L’agenzia si inventa un completo riposizionamento del prodotto e lancia una delle strategie più efficaci e celebrate di sempre. Questa volta il brand character è il “Marlboro Man”: un cowboy affascinante, moderno e insieme leggendario. Per l’immaginario dei consumatori si tratta di un richiamo irresistibile, un nuovo modello di seduzione che però arriva da lontano, dalle profondità della storia americana. E infatti non resiste più nessuno: entro la fine del decennio Marlboro diventa la sigaretta più venduta in tutti gli Stati Uniti.
 
 
 
"Il Marlboro Man dirotterebbe i fumatori «Rock» sulle Marlboro… la giusta immagine per catturare la fantasia del mercato giovane… un perfetto simbolo di indipendenza e ribellione individualistica"
 
 La campagna fu inizialmente concepita come un mezzo per rendere popolari le sigarette con il filtro, che allora erano considerate da donna. 
 
La campagna pubblicitaria delle Marlboro si dice sia una delle più brillanti campagne di tutti i tempi. Essa trasformò in pochi mesi una sigaretta femminile, con lo slogan «Mild as May» (mite/dolce come maggio), in una chiaramente maschile.
 
 
 
 Da allora i clienti aumentano anno dopo anno: Procter & Gamble  (1952), Commonwealth Edison (1954), Maytag (1955), Allstate (1957), Heinz Pet Products (1958), StarKist (1958), Marchi First (1961), United Airlines (1965), General Motors Oldsmobile (1967).
 Con tutti instaurerà un rapporto solido e personale, costruito sulla trasparenza, sull’affidabilità, sull’idea di qualità che metteva nel suo lavoro.
 Oggi il suo network conta agenzie in 49 paesi e, a tutte, Leo Burnett ha già spiegato forte e chiaro – in un celebre discorso di congedo, quattro anni prima della sua morte – quale sarà il giorno in cui dovranno obbligatoriamente togliere il suo nome dalla porta d’ingresso:

Sarà il giorno in cui passerete più tempo a fare soldi, che a fare pubblicità. Sarà il giorno in cui smetterete di scegliere il meglio e di puntare alle stelle“.

E‘ un grande discorso, che racconta perfettamente una personalità ambiziosa, fiera, fortissima.

 
 Non inventava pubblicità, in un certo senso le vedeva.
 
 
 Curiosità per la vita in tutti i suoi aspetti, a mio avviso, è ancora il segreto delle grandi persone creative.
 Leo Burnett
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

BILL BERNBACH




" I veri giganti sono sempre stati dei poeti, uomini che saltavano dai puri fatti al regno dell’immaginazione e delle idee".


Un uomo che attraverso il suo modo di pensare rivoluzionò il mondo della comunicazione. Quell’uomo era un pubblicitario. Era William Bernbach meglio conosciuto come Bill Bernbach. Nel 1959 quando il pensiero in America era “Think Big” lui disse “Think Small”.
Pensare in piccolo.
Un folle. 
Ma come dice una famosa pubblicità degli anni ’90 “.. solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero” (Apple). E Bill attraverso quelle 2 parole fece uno dei più famosi annunci della Volkswagen Beetle e di tutto il mondo della comunicazione. Il Maggiolino ebbe in America un enorme successo. Forse lo avrebbe avuto lo stesso. Forse no.

 Bill Bernbach ha dimostrato come la creatività possa vincere, grazie all’opera del genio, contro l’arida razionalità, gli schemi previsti, le regole scritte, la logica delle ricerche. 
Leader carismatico e sensibilissimo, venerato da molti come un maestro,  era convinto che pretendere di impostare la pubblicità in maniera "scientifica" è un controsenso: perché la pubblicità deve innovare, sorprendere e non può farlo se si basa su schemi e regole rigide e prevedibili, ammesso e non concesso che queste regole possano essere effettivamente formulate nel campo della comunicazione, ben diverso da quello delle scienze naturali.
 All'epoca di Bernbach, invece, molti ci credevano e i pubblicitari più in voga del tempo, come i loro predecessori, si erano dati un gran daffare per tracciare un elenco di consigli e raccomandazioni capaci di determinare il successo di una campagna pubblicitaria. Non che le regole e gli insegnamenti dell'esperienza non servano, anzi; ma forse c'è bisogno di qualcosa in più. Di valorizzare quelle doti non logiche spesso sottovalutate dalla tradizione occidentale: l'intuito, la creatività, il saper fare, in parole povere la conoscenza pratica e implicita (distinta dalla conoscenza esplicita, razionale, facilmente comunicabile perché esprimibile attraverso il linguaggio).

Le regole sono quelle che l’artista spezza; nulla di memorabile è mai uscito da una formula”. Questa è una delle tante frasi di Bill estrapolate dalle rare interviste rilasciate e da quello che amici, colleghi e familiari ricordano dei suoi discorsi. Bernbach, con grande modestia e understatement, non ha mai teorizzato o scritto i propri principi, fedele fino in fondo all’idea di non intrappolarsi in preconcetti che non ci lascerebbero liberi di trovare soluzioni fresche e inaspettate.
Ci ha lasciato però il suo esempio professionale e etico, la sua grande comprensione per la natura umana e, sopra a tutto, una galleria di lavori eccezionali.



 Non sempre, poi, il suo approccio fu considerato vincente, ma di sicuro se oggi le pubblicità sono divertenti e creative, in buona parte lo dobbiamo anche a lui.


 "Non è quello che dici che colpisce la gente, ma come lo dici”


DAVID OGILVY

 


David Ogilvy è stato uno dei grandi nomi della pubblicità. Il 7 settembre 1982 spedì una nota a tutti i dipendenti della sua agenzia. Era intitolata “Come scrivere”

• Meglio scrivi, più farai carriera in Ogilvy & Mather. Chi pensa bene scrive bene.
• Chi non ha le idee chiare, scrive testi confusi, lettere confuse, discorsi confusi.
• Scrivere bene non è un dono di natura. Dovete imparare a scrivere bene.
Ecco dieci suggerimenti:
1. Leggi il libro Writing that works di Kenneth Roman e Joel Raphaelson. Leggilo tre volte.
2. Scrivi come parli. In modo naturale.
3. Scrivi parole brevi, frasi brevi, paragrafi brevi.
4. Non usare parole gergali come riconcettualizzazione, demassificazione, attitudinalmente, pregiudizialmente. Sono tutti segni distintivi degli asini arroganti.
5. Non scrivere mai più di due pagine. Qualunque sia l’argomento.
6. Controlla le citazioni.
7. Non inviare mai una lettera o un memo lo stesso giorno in cui li scrivi. Rileggili ad alta voce la mattina dopo, e correggi.
8. Se si tratta di qualcosa di importante, fatti aiutare da un collega.
9. Prima di inviare la lettera o il memo, assicurati che la tua richiesta sia più che chiara.
10. Se vuoi AZIONE, non scrivere. Vai e chiedi quello che vuoi.




Confessions on advertising man è la sua autobiografia.
È anche un manuale di tecniche di pubblicità e una testimonianza su ciò che significa lavorare nell’advertising.
Ogilvy parte dal racconto della sua gioventù avventurosa. Scozzese di nascita, per un po’ ha venduto elettrodomestici a Londra. Poi è stato cuoco a Parigi. In seguito, ha lavorato all’università di Princeton. Solo dopo i trent’anni, ha aperto un’agenzia di pubblicità a New York. Ed è qui che è arrivato il successo mondiale.
Per Ogilvy, la pubblicità è qualcosa di utile. Perché, quand’è onesta, c’informa su un nuovo prodotto, che forse potrebbe aiutarci. E se è invece la pubblicità è disonesta? Non è un problema. Perché, se compriamo un cattivo prodotto spacciato per ottimo, ce ne accorgiamo. E poi non lo compriamo più.
Ogilvy ci dice anche come si diventa bravi pubblicitari. Il talento conta, ma non basta. Bisogna anche conoscere le varie tecniche pubblicitarie e, soprattutto, lavorare duro. In più, un bravo pubblicitario ha spirito d’osservazione, è curioso di tutto ed è aperto alle novità. Sa anche reagire agli inevitabili fallimenti. E accetta le critiche. Anzi: è il primo critico di se stesso.
Col tono autorevole di chi sa d’essere bravo e non lo nasconde, Ogilvy ci dà molti consigli pratici su come ideare buone pubblicità. Da quelle per i giornali a quelle per la televisione. Prima di tutto, bisogna essere semplici, brevi, concreti. Bisogna poi mettersi nei panni di chi comprerà il prodotto e capire ciò che vuole. Ma attenzione: si fa pubblicità solo ai buoni prodotti. Un pubblicitario non deve fare pubblicità a un prodotto che non comprerebbe mai. Quindi, un bravo pubblicitario dice sempre la verità: fa parlare solo i fatti. Inoltre, si mette nei panni anche dell’azienda che ha creato il prodotto, per capire bene quali obiettivi ha. Solo così può dare la giusta personalità al prodotto.
Ogilvy ci spiega infine come si dirige un’agenzia pubblicitaria. Un bravo direttore assume gente che ha passione per il lavoro. Perché solo chi ha passione per il proprio lavoro dà il massimo. Poi, un bravo direttore assume solo chi è onesto e leale. E sceglie i professionisti migliori, per formare la miglior squadra di lavoro possibile. Inoltre, cura che i dipendenti aggiornino le loro conoscenze. Si sforza poi d’essere sempre giusto e si prende le sue responsabilità, anche davanti a scelte difficili. Un bravo direttore ascolta più che parlare. E non pensa solo al presente dell’agenzia, ma anche al suo futuro. Infine, sa gestire i rapporti coi clienti.




 «Potete ‘fare i compiti’ fino al giorno del giudizio, ma non avrete mai un grande successo senza una “grande idea”. Meno di una campagna su cento contiene una “grande idea”. Le “grandi idee” vengono dall’inconscio. Questo è vero nell’arte, nella scienza come in pubblicità. Ma l’inconscio deve essere bene informato, se no l’idea sarà irrilevante. Imbottite di informazioni la vostra mente inconscia, poi staccate i collegamenti del vostro pensiero razionale. Potete favorire questo processo facendo una passeggiata o un bagno caldo, o bevendo una bottiglia di barbera. Improvvisamente, se la linea telefonica con il vostro inconscio è funzionante, la “grande idea” si sveglierà dentro di voi».
David Ogilvy