venerdì 1 marzo 2013

LE COSE CHE POSSIEDI ALLA FINE TI POSSIEDONO




La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene.

Respingo i principi base della civiltà, specialmente l'importanza dei beni materiali.



Da queste finestre vedremo il crollo della storia della finanza. Un passo più vicini all'equilibrio economico.



Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!




Prima regola del Fight Club: non si parla del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club. Terza regola del Fight Club: se qualcuno si accascia, è spompato, grida basta, fine del combattimento. Quarta regola del Fight Club: si combatte solo due per volta. Quinta regola del Fight Club: un combattimento alla volta. Sesta regola del Fight Club: niente camicia, niente scarpe. Settima regola del Fight Club: i combattimenti durano tutto il tempo necessario. Ottava regola del Fight Club: se è la vostra prima sera al Fight Club, dovete combattere.


Quando stai per morire la gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare. E quando qualcuno ti parla, non ti sta cacciando balle. Quando chiacchierate, costruite qualcosa e dopo siete tutt'e due diversi da prima".

Le cose che possiedi alla fine ti possiedono.


Questi sono alcuni dialoghi,anzi,monologhi,tratti da uno dei miei film preferiti ,Fight Club.



L’opera del regista di Seven, David Fincher, arriva sul grande schermo nel 1999 basato sull’omonimo romanzo dello scrittore statunitense Chuck Palahniuk, diventando in pochissimo tempo un film cult per gli amanti del genere. Scorretto politicamente parlando, nudo e crudo come il romanzo, il film entra nella mente assopita di ogni spettatore-consumatore per risvegliarlo e sbattergli in faccia con la violenza di un pugno sul naso la vera rappresentazione di un mondo post-globalizzato in cui l’individuo alienato esiste solo nella logica consumatore-produttore.
 
 
TRAMA




 

Il protagonista del film è lo stereotipo dello yuppie americano, incarnato da Edward Norton, in un dipendente di una grossa compagnia assicurativa. La frustrazione per un lavoro noioso e altamente ripetitivo ( celebre la frase
 

‘Se ti svegliassi a un’ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?’) insieme al costante jet lag, lo porteranno a soffrire d’ansia e d’insonnia, rendendogli la vita impossibile. In questa condizione di dormiveglia costante, dove tutto sembra la copia di un copia, e il reale si confonde con l’onirico, il protagonista trova la soluzione all’insonnia nei gruppi di sostegno, dove la sua sofferenza interiore sembra un’inerzia rispetto ai mali incurabili dei soggetti presenti. La sua piccola valvola di sfogo, la sua isola felice. Durante un causale viaggio di lavoro sull’aereo il protagonista incontra un quantomeno eccentrico ‘produttore di sapone’ di nome Tyler Durden, che durante il volo spiega come mescolando parti uguali di succo d’arancia glicerina e benzina si possa fare in casa il napalm. Di ritorno dal lavoro, un giorno come un altro l’esplosione del loft super accessoriato del protagonista farà di fatto crollare ogni sua certezza, costringendolo a cercare qualcuno in grado di poterlo ospitare e consolare. Tyler sarà la soluzione e con l’ideazione dei circoli della lotta clandestina negli scantinati dei bar, i cosiddetti Fight club, arriverà la svolta in un nuovo stile di vita che lo renderà una ‘persona nuova’.
 

ANALISI

 

L’abilità di Fincher sta nel saper trasformare un grande libro in un ottimo film. C’è davvero poco da poter migliorare nella rappresentazione dell’opera di Palanhiuk, eppure il regista ci riesce a pieno già nella scelta degli attori, idealizzando e visualizzando nella coppia Brad Pitt-Edward Norton la perfetta incarnazione di Tyler Durden. Il primo, si trova perfettamente a suo agio nel ruolo di un schizzato leader di un progetto anarchico che va oltre il semplice venir alle mani. Invece Norton veste alla perfezione i panni di un goffo e impacciato personaggio che si evolve in maniera netta nel corso della pellicola. La rappresentazione complessa e duplice di Tyler Durden riesce a trovare la sua reale posizione nel mondo solo attraverso il coraggio di lasciarsi trasportare, di lasciarsi andare in quello che realmente ognuno di noi vorrebbe essere.

 

Il Fight club, la lotta negli scantinati, rappresentano la valvola di sfogo per l’enorme mole di uomini frustrati e divorati dal sogno dell’American way of life, tanto promosso quanto irrealizzabile dal consumismo imperante dettato dalla società.
 
In tema di marketing possiamo evincere che:

La moda è il primo dei tre settori messo in discussione esplicitamente:

Vengono citate marche di un certo prestigio come Gucci, Calvin Klein e Tommy Hilfiger. La moda è uno dei canali di comunicazione più importanti tra il mondo dei consumi e la cultura di massa e ha effetti significativi sui comportamenti individuali.
Ad un certo punto del film, Jack e Tyler iniziano a mettere in pratica atti di vandalismo, ma con le auto, se si presta attenzione, manifestano un atteggiamento selettivo: la prima è una Bmw e la prendono a mazzate, la seconda è una Ford e la risparmiano, mentre la terza, una Wolkswagen, viene nuovamente presa di mira.
Potrebbe esserci un messaggio dietro questo? l'accanimento nei confronti delle marche straniere si può associare allo stile consumistico che odiano i due, mentre la vecchia Ford non viene presa a mazzate, forse perchè rappresentava il ceto medio americano. Anche in altri film questo brand è rappresentato associato a persone e valori semplici.

Successivamente è preso di mira e fatto espoldere anche un negozio di computer, qui si nota immediatamente il marchio Apple.

Tirando le fila del discorso, una critica così ferrata al consumismo non sarebbe stata tale senza l'inserimento di marche e beni di consumo precisi. In questo caso quindi, non ci troviamo di fronte a un classico Placement che vuole stimolare l'acquisto di prodotti, ma al contrario. Per quanto la notorietà delle marche in questione rimanga garantita, l'atteggiamento dei consumatori nei confronti di queste, potrebbe essere messo in discussione data la valenza negativa associata al film.
Pensiamo a quanto il Product Placement sia in grado di influenzare i nostri acquisti, dal momento che si presenta in un contesto culturale ben preciso; infatti, da un lato si cerca di inserire i prodotti in modo da aumentarne la notorietà e dall'altro, tali schemi si basano sulla comunicazione di massa, pubblicità e cinema compresi. Insieme questi ultimi contribuiscono a trasformare nel tempo la cultura della società. Impensabile?
Nella società occidentale si può sostenere che la comunicazione di massa esercita un sostanziale influenzamento sul comportamento di consumo che va al di là degli effetti di campagne pubblicitarie, ma si tratta di un vero e proprio processo di ricombinazione culturale nel quale i media si scambiano concetti, simboli, personaggi, format ecc., allo scopo di confermare vicendevolmente i propri messaggi. (Turner, 1992).
Questo vale per oggetti e beni di consumo, ma soprattutto per stili di vita, valori e bisogni.

Ora introduciamo il concetto di Product Placement Culturale.

In questa prospettiva vengono considerati gli inserimenti che hanno a che fare con la cultura di una società: la possono esaltare, criticare oppure semplicemente descrivere. Sono quegli inserimenti che non potrebbero essere sostituiti da altri perché assumono un ruolo specifico all'interno della trama e della scena in questione.
 
Fight Club è stato ed è tuttora la rappresentazione di un disagio esistenziale profondo che caratterizza la società moderna.
La scissione del protagonista è, in percentuali ovviamente diverse per ognuno, la "scissione" di ciascuno di noi, condizionato a volte a reprimere i sentimenti e i propri bisogni sull'altare delle convenzioni di una società che fa della competizione esasperata uno dei suoi valori fondanti.
Per difenderci dall'angoscia, ognuno di noi si crea un falso Sé (Winnicott 1971) che più o meno ci condiziona.
L'estremo, rappresentato in questa pellicola, può rappresentare il nostro lato più profondo e primitivo, con il quale è sempre bene essere in dialogo profondo.
Vedere Fight Club è un po' iniziare a riflettere sul Tyler Durden che è in ognuno di noi.

Fight Club a mio avviso è un film che descrive in modo molto realistico il vissuto di una persona che è sull'orlo della rottura psicotica.
Al di là della teatralizzazione del "doppio" Tyler, l'angoscia esistenziale che il protagonista prova e lo scollegamento dei suoi sentimenti sono tipici di molti pazienti pre-psicotici che iniziano ad avvertire una atmosfera delirante nel mondo che li circonda, laddove qualcosa si profila come minaccioso, ma è impossibile ancora capire dove si annidi il pericolo.
Credo che ogni psicologo che si interessa al mondo delle psicosi possa trarre spunti interessanti dalla vicenda dello sfortunato impiegato del film.

Altro spunto di utilizzo potrebbe essere quello legato alla comprensione delle dinamiche che sono alla base della gestione della rabbia degli individui, soprattutto adolescenti, di fronte ai limiti e alle barriere imposte dalla società.

Il film dipinge, a mio avviso, bene, la frustrazione e il senso di penosa inutilità di tante persone che si trascinano in un'esistenza che è in fondo vuota e senza scopi di vita.



Visti i tempi poi sembra un monito.

That's all folks

The Strummer