martedì 7 agosto 2012

DALLA BELLE EPOQUE AL FASCISMO


A partire dagli anni ’20 e ’30 del Novecento, in seguito all’eccesso di offerta, le aziende dovettero cercare di favorire la nascita di un ambiente che stimolasse la domanda dei beni; nasce il marketing; ad una pubblicità puramente artistica ne subentra una orientata a esaltare le caratteristiche dei prodotto. Nel 1922 nacque la prima agenzia pubblicitaria italiana, la ACME Dal Monte; nel frattempo cominciò a diffondersi la radio, e con questa i messaggi pubblicitari radiofonici, veicolati dalla SIPRA, prima concessionaria italiana. Il programma radiofonico I quattro moschettieri, sponsorizzato dalla Buitoni-Perugina, abbinato a un concorso a premi e ad una raccolta di figurine, ebbe uno straordinario successo.
Il successo della radio stimolò una rivalutazione dell’uso della parola anche nei manifesti; nel 1919 Luigi Casoni Dal Monte lancia un concorso, con in palio 10.000 lire, per trovare uno slogan per il dentifricio Kaliklor; vince “A dir le mie virtù basta un sorriso”. Il fascismo utilizzò molto il meccanismo dello slogan per ottenere e mantenere il consenso sociale (Credere, obbedire, combattere; vincere e vinceremo); il regime, sostenendo l’autarchia e le campagne a favore dei prodotti nazionali, rallentò però in Italia la cultura pubblicitaria, che invece all’estero procedeva velocemente.
Nel dopoguerra, accanto alla ormai superata figura del cartellonista, in Italia arrivarono le prime succursali delle multinazionali pubblicitarie statunitensi; il mondo pubblicitario fu però sconvolto dall’arrivo della televisione. Nel 1941 in Inghilterra venne mandato in onda il primo spot della storia, di 10 secondi, degli orologi Bulova.

La pubblicità diventa industria.

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